Non mi era mai successo di ridurmi così tanto con l'acqua alla gola prima di un esame, ma meglio farci l'abitudine: credo proprio che questa sessione non sarà affatto semplice...
Il lato positivo è che, studiando, mi sono imbattuta in qualcosa che vale la pena di riportare, soprattutto dopo che in questi giorni si è tanto discusso sulla presunta obiettività (o soggettività?) delle cose:
C'è una formula divulgata da famosi autori naturalisti e veristi, i quali dicevano che un romanzo deve consistere nella rappresentazione di una fetta di vita, oggettivamente osservata ed impersonalmente descritta...
Strana questa idea che sia possibile vedere le cose in maniera impersonale...
Essa nasce dalla convinzione che la visione diretta sia la chiave per capire qualsiasi cosa: come se bastasse afferrare con gli occhi ciò che abbiamo davanti, per averne una comprensione immediata; è come se tutto quanto è visibile, tangibile, concreto, soltanto in virtù della sua concretezza fosse una garanzia di qualcosa... Retaggio questo del fanatismo scientifico che fa del delirio di concretezza un'arma infallibile...
Ma non sarebbe meglio ritrovare una capacità di visione interna: quella visione intima, che partendo dall'inconscio, crea le condizioni in cui nasce e cresce la nostra familiarità con le cose del mondo esterno?
Per quel che mi riguarda mi trovo in bilico tra le due tesi: da un lato ho sempre portato avanti la teoria del "se non vedo non credo", ma è anche vero che non sempre analizzare le cose nella maniera più obiettiva e razionale possibile aiuta a spiegare dei moti inconsci che sfuggono ad ogni possibilità di controllo...ma qui si torna nel campo già discusso dell'irrazionalità nei rapporti umani...
In fondo, forse, proprio quello che mi manca è, come dice "qualcuno":
la capacità di andare oltre e rischiare anche quando non c'è più cielo da vedere o terra su cui camminare.
1 commento:
Bella festicciola ieri sera, sei stata bravissima ad organizzare tutto!!!
Alla prossima, ciao!
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