martedì 15 aprile 2008

Riflessioni

Di solito non parlo di politica e, premetto fin d'ora, che non lo farò neanche adesso; però, negli ultimi giorni, alcuni "avvenimenti" della politica italiana mi hanno riportato alla mente, per uno strano quanto interessante gioco di associazioni, le parole di uno dei libri che più ho amato e amo leggere: Il Gattopardo di G. Tomasi di Lampedusa.
Pur consapevole che solo in pochi non hanno ancora letto il passo qui di seguito, ho deciso ugualmente di postarlo, sia perché rappresentativo, a mio parere, di uno dei capolavori della nostra letteratura, sia perché ritengo sia indispensabile che, nell'immaginario di ogni singolo siciliano, esso sia presente e radicato...ora più che mai...
Ecco dunque le parole del Principe di Salina al funzionario piemontese Chevalley:

"...Adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi: in Sicilia non importa far male o far bene; il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di "fare" [...].
Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio.
Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana.
Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto [...] .
Siamo troppi perché non vi siano delle eccezioni... D'altronde vedo che mi sono spiegato male: ho detto i Siciliani, avrei dovuto aggiungere la Sicilia, l'ambiente, il clima, il paesaggio. Queste sono le forze che insieme e forse più che le dominazioni estranee e gl'incongrui stupri hanno formato l'animo: questo paesaggio che ignora le vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l'asprezza dannata; che non è mai meschino, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese fatto per la dimora di esseri razionali [...] .
Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; tutti questi governi, sbarcati in armi da chissà dove, subito serviti, presto detestati e sempre incompresi, che si sono espressi soltanto con opere d'arte per noi enigmatiche e con concretissimi esattori d'imposte spese poi altrove; tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo."

2 commenti:

4nT0 ha detto...

> "...tutte queste cose hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità esteriori oltre che da una terrificante insularità di animo."

Io credo che dipenda tutto da come vediamo noi le cose. Tutti i Siciliani soffrono (per così dire) di una estrema insularità d'animo provocata dalla "fatalità" di essere nati in questa isola stupenda e piena di contraddizioni. Ma, per come la vedo io, la nostra insularità non è certo un difetto, bensì una semplice caratteristica, anzi una caratteristica speciale. Insularità che si riscontra nel boss mafioso, così come nel magistrato o nel poliziotto che è pronto a morire per catturarlo, nel politico colluso così come nel cittadino onesto (che di certo NON è un'eccezione) che si inalbera quando sente dire che "Sicilia = mafia", nei fantasiosi modi che molti si inventano per eludere le regole quanto nei prodigi di Bellini.

Essere totalmente fatalisti e scaricare tutte le colpe, o in taluni casi i meriti, dei fatti è semplicemente ridicolo. Usare questa insularità per far confermare la pessima opinione che in molti hanno di noi o per farli ricredere è una nostra scelta. La Sicilia con questo non c'entra.

Nina ha detto...

Sono d'accordo con te quando dici che una simile "insularità d'animo" non vada vissuta come un difetto dietro cui nascondersi, ma come una speciale peculiarità di cui vantarsi, che conferisce un inestimabile valore al nostro essere siciliani.

Certo, le parole del Principe di Salina vanno contestualizzate.
In lui prevaleva più la disillusione per quel mondo, che vedeva immobile, incapace di portarsi avanti, di cambiare e di migliorarsi veramente, che la fierezza per il suo esserne parte, per l'essere il frutto di una commistione così spettacolare di storia, cultura, teatralità.
E forse, ponendosi nell'ottica post-unitaria, che così tanto aveva disatteso le speranze di quei sciliani che alla cieca si erano votati all'impresa garibaldina, rusciamo a comprenderle più a fondo.
La Sicilia, a quei tempi, era una terra lasciata in mano a sé stessa, ai suoi briganti, all'incapacità degli stessi Siciliani di decidere e determinare coscientemente le proprie sorti.

Per fortuna oggi le cose sono cambiate; certo, molti dei problemi di allora ce li trasciniamo anche adesso, ma i Siciliani, proprio come hai detto tu, hanno dimostrato di essere anche altro rispetto a quei semplici individui che accettano passivamente ciò che la Storia sceglie per loro...
Falcone , Borsellino, Peppino Impastato etc, sono persone, o meglio eroi, che hanno scosso le coscienze comuni e vi hanno lasciato un segno indelebile.

Cosa, allora, amare ancora oggi di quelle parole così dure ed incredibilmente crude?
Beh, innanzitutto io adoro la schiettezza e la lucidità con cui ricostruiscono l'origine atavica di certi fenomeni e il loro farci riflettere su come il nostro stesso carattere sia fortemente determinato dalla fisionomia e dal clima di questa meravigliosa terra.

E poi, il mio amore per questo romanzo nasce anche dal suo apartenere a quel filone di letterature siciliana che, partendo da Verga e De Roberto, attraverso Pirandello, Vittorini, Sciascia, Bufalino (e tanti altri), ha lasciato una traccia indelebile nel panorama culturale nazionale (e non solo) proprio perchè portatore di questa "sicilianitudine" intesa come un impareggiabile "mélange" di fatalismo, tendenza all'onirico e introspezione personale che ci rende così speciali e di cui vado e andrò sempre fierissima.